A metà del secolo scorso, quando il riformismo sabaudo avvia il lungo processo di modernizzazione della Sardegna, in tutta l'isola non si contano più di 140.000 case. Senza tener conto delle circa 20.000 concentrate nelle sette "città regie", il variegato panorama dei centri rurali era dunque composto da 120.000 abitazioni, quasi tutte unifamiliari e concentrate nei villaggi, secondo la grande opposizione tra paese e territorio. Unica eccezione, a quell'epoca, i circa 2.500 stazzi, medaus e simili mediante i quali altrettanti gruppi famigliari avevano ricolonizzato i tre angoli spopolati dell'isola (Gallura, Sulcis, Nurra) mentre proprio allora si avviava il ripopolamento del Sarrabus nel sud-est. Il visitatore odierno, di quel grande patrimonio può certo avere ancora percezione, anche perché per almeno altri cento anni, sino all'ultimo dopoguerra ed oltre, è stato arricchito e integrato da nuove case, o dalla modificazione e dall'ampliamento di quelle più antiche - quasi sempre comunque nella più assoluta continuità di materiali, tecniche e tipologie edilizie. Come è noto, tuttavia, non solo la continuità del processo di "costruzione del territorio" è stata bruscamente interrotta, ma dagli anni '60 in poi i villaggi e le loro case sono diventati la spia di una crisi più generale del rapporto tra le comunità ed il loro spazio di vita. Se il censimento del '51 registra un patrimonio edilizio storico-tradizionale pari a 200.000 abitazioni, 150.000 delle quali nel "rurale", dieci anni dopo siamo già a 15.000 di meno.
I successivi trent'anni registreranno, censimento dopo censimento, uno smantellamento in progressione costante, sino alle 90.000 del '91. Dunque, un processo così capillare da apparire inarrestabile, e così diffuso e radicato da costituire una grande metafora della crisi più generale e complessiva della Sardegna interna. A fronte di ciò, ancora i censimenti ci raccontano negli stessi anni di un vero diluvio, sempre sotto forma di case - questa volta nuove, per lo più grandi, isolate e disperse nelle periferie dei villaggi quanto le vecchie erano accentrate e compatte, estranee per forma e sostanza costruttiva al loro contesto tanto quanto le precedenti erano pensate e costruite sulla misura locale. Assistiamo così al paradosso storico di paesi che crescono mentre si svuotano, che aggiungono case a case occupando gli orti periurbani mentre la gente se ne va.
Le forme dell'abitare. Per il grande geografo Maurice Le Lannou, cui dobbiamo il quadro ancor oggi più esaustivo dell'habitat regionale, la casa rurale costituisce uno dei riferimenti fondamentali per precisare i caratteri specifici dell'insediamento umano. A lui dobbiamo la definizione sintetica dei . Le tre grandi tipologie di case di cui parla Le Lannou, a ben vedere, sono piuttosto altrettanti tipi di insediamento, di rapporto comunità-territorio. La seconda si esprime al meglio nei grandi (e piccoli) villaggi del Campidano: negli orizzonti piatti della grande pianura i centri si dispongono in valle o al più sui primi terrazzi; entrandovi si accede ad un paesaggio urbano fatto di case ad uno o (da un secolo in qua) due piani, appoggiate ad alti recinti ciechi, un panorama murato ed introverso, con un sistema labirintico di strade strette e di vicoli. Le comunità si sono per secoli specializzate attorno alla dominante della cerealicoltura: la casa a corte, la casa-fattoria nel recinto urbano, realizza una sintesi perfetta tra lo spazio dell'abitare e lo spazio del lavoro, articolata com'è sul vuoto centrale, insieme piazza privata, luogo delle lavorazioni domestiche e centro delle relazioni e della vita collettiva. Si tratta in sostanza del combinarsi di almeno tre grandi tradizioni:
- quella romana della casa a corte e dei tracciati ordinatori
- quella arabo-mediterranea del labirinto dei vicoli e degli accessi
- quella spagnola della corte con patio costruita in mattoni di terra e in legno
Via via che si procede dai territori della cerealicoltura meridionale verso la montagna centrale, il recinto e lo spazio vuoto tendono a contrarsi a vantaggio del "pieno" rappresentato dalla cellula edilizia. Lo spostarsi dell'equilibrio verso la pastorizia determina distinzioni più nette tra spazio della produzione e luoghi della trasformazione e del consumo domestico. Le attività direttamente produttive sono qui tutte concentrate nel territorio, che la comunità organizza e rende funzionale prevalentemente proprio attraverso il recinto, mentre nel villaggio l'elemento emergente è la cellula abitativa, la casa come fabbricato, volume. Il passaggio tra i due mondi è netto, anche se la cellula coesiste con una corte estremamente ridotta e contratta. I paesaggi urbani ottocenteschi dei centri più interni dovevano presentarsi in modo estremamente arcaico, con la sequenza delle cellule abitative per lo più basse, spesso incassate a mezza costa, nelle quali focolare, magazzino, zona notte, ricovero per gli animali risultavano a volte distinti (nelle case a due o più cellule, giustapposte o sovrapposte), a volte si mescolavano nei modi più vari (nelle molte case monocellula). Tutta l’area della montagna centro meridionale è comunque caratterizzata dalle due alternative possibili nello sviluppo del tipo: da un lato la casa alta (nei centri con dimensione quasi urbana) che intasa completamente il lotto di pertinenza, dall’altro una piccola corte (nei centri più marginali e minori) che permette di leggere ancora l’originaria cellula nel recinto.
La duttilità della cellula-abitazione è comunque molto grande. Essa può dar luogo, come vedremo, a tessuti altamente differenziati e ad elevata densità: è il caso di quasi tutto il sistema insediativo del Nord Sardegna, e la casa elementare di Bonorva, nel Meilogu, individuata per rappresentare questo tipo, lo dimostra ampiamente. La morfologia urbana si diversifica, nel villaggio compare la strada-piazza, segnale di un diverso e più complesso sistema di rapporti collettivi. A partire dalla seconda metà dell'800, poi, il mondo rurale del Nord Sardegna è investito da un processo intenso di "urbanizzazione" e di sviluppo che modifica la configurazione del villaggio e delle sue case. Se la struttura planimetrica della casa elementare non muta sostanzialmente, cambia però la consistenza edilizia, il "muro barbaro" viene intonacato, finiture, cornici e modi di costruire più urbani si impongono nel paesaggio edificato. Così la cellula, che come unità elementare è ancora ben riconoscibile lungo le sequenze di facciate che si allineano sulle vie del paese, evolve verso un'abitazione complessa e differenziata, dove diventa un fatto corrente disporre di un vano al piano terra che è insieme deposito organizzato di derrate (fundagu), ingresso e disimpegno per i vani laterali o superiori, luogo dello scambio sociale.
Se queste sono le caratterizzazioni delle tre grandi aree forti dell'isola, un grande numero di situazioni e di soluzioni intermedie esprime il passaggio dall'una all'altra. Nei Campidani settentrionali, ad esempio, troviamo che l'abitazione a corte va sistematicamente ad affacciarsi sulla via, tantoché l'ingresso principale (non carrabile) introduce direttamente ad un ambiente domestico. Proprio questo, la sala, e non la corte, è il perno della casa: insieme stanza d'ingresso e di smistamento, luogo dell'accoglienza e dell'ospitalità, vano plurifunzionale delle lavorazioni domestiche. Per altri aspetti, tutta la Sardegna orientale, dal Sarrabus - Gerrei all'Ogliastra ed alle Baronie, testimonia in quante differenti combinazioni le culture abitative della corte e delle cellule edilizie possano coesistere. Così come può ugualmente essere interpretata come mescolanza di culture la cellula nel recinto (stazzu, medau) con cui i coloni della Gallura e del Sulcis ripopolano queste aree a lungo marginali.
I diversi tipi di paesaggio urbano, tuttavia, sono unificati da due elementi comuni: case ricche e case povere, espressione dell'articolazione sociale del villaggio. Da un lato infatti, abitare in Sardegna ha coinciso molto spesso con una casa minima, espressione dell'economia di sussistenza del vasto mondo della povertà rurale sarda. Interi vicinati appaiono costituti da sequenze di cellule basse e spesso prive di spazi di pertinenza; ma più spesso le si incontra incastonate in allineamenti di case più complesse, a rappresentare la coesistenza fianco a fianco di ceti diversi. E' questo il patrimonio storico più esposto al rischio della sparizione, sia per il carattere arcaico ed elementare della costruzione e dello spazio abitabile, sia per il rigetto culturale che ha prodotto la sua identificazione con l'antica scarsità. Al polo opposto, la nascente borghesia rurale ottocentesca propone un nuovo modello di affaccio pubblico della casa; il palattu, che è insieme un tipo edilizio ed un modello urbano che modifica profondamente il significato stesso dell'abitare. (Baldacci)
Siamo di fronte ad un caso esemplare di innesto tipologico che esprime un passaggio socioculturale epocale: brani di cultura abitativa della città che vengono assunti dai ceti emergenti del villaggio, con magisteri costruttivi spesso di alto livello. L'innesto in genere ben riuscito dei palazzotti con il loro decoro urbano nei tessuti delle case tradizionali esprime un importante aspetto della dialettica tradizione - innovazione nelle nostre campagne.
L’Atlante è il risultato, sempre provvisorio e in fieri, di una ricognizione ad ampio spettro, che ha puntato a documentare un numero assai elevato di ambiti edilizi regionali, con una casistica variegata e perciò rappresentativa del sistema delle differenze (oltreché delle analogie) della costruzione “popolare” e rurale della Sardegna.
Per ciascun tipo insediativo è stata condotta un’indagine ed un’elaborazione:
- alla scala del territorio, mediante l’analisi delle fonti e della cartografia storica e l’elaborazione di rappresentazioni sulla stratificazione storica dei percorsi, della costruzione idraulica del territorio, dei paesaggi agrari e dell’insediamento
- alla scala dei tipi edilizi mediante l’acquisizione e la produzione originale di rilievi architettonici d’insieme e di dettaglio, l’analisi delle relazioni aggregative, dei rapporti con i percorsi e la maglia fondiaria, delle culture progettuali che hanno contribuito a costruire ciascun determinato caso insediativo, il riconoscimento dei tipi e della loro processualità
- alla scala degli elementi costruttivi mediante lo studio dei saperi locali, il confronto tra culture materiali e manualistica (o altri strumenti di diffusione delle conoscenze disciplinari e operative)
- l’analisi e la ricostruzione dei dettagli della costruzione, lo studio dei materiali, della loro combinazione e messa in opera, dei “punti critici” della fabbrica edilizia.
L’Atlante funge anche da “mappa” dei casi di studio, consentendo di portare a confronto e sintesi provvisoria le singolarità e l’individualità di situazioni altrimenti così peculiari da essere tra loro irriducibili. Dal confronto sinottico emergono alcuni importanti riscontri della varietà e della complessità delle situazioni locali:
- i centri di pianura manifestano marcate regolarità negli allineamenti dei tracciati stradali e dei corpi di fabbrica, spesso connesse a preesistenti tracciati del territorio romanizzato, o comunque alle logiche insediative delle case a corte
- i centri di montagna esprimono invece, nelle planimetrie irregolari e sinuose, la loro aderenza all’orografia e il loro essere organizzati in vista dello smaltimento delle acque meteoriche
- le differenti aree collinari appaiono come ambiti di transizione nei quali si realizza la coesistenza dei caratteri della pianura e della montagna
Pagina aggiornata il 22/02/2024