(Prof. Benedetto Meloni, Dott. Stefano Carboni)
La fiducia in un modello di sviluppo basato su una pianificazione calata dall’alto, in grado di controllare ogni tipo di variabile territoriale, caratterizza gli anni ’60. L’efficacia della pianificazione è affidata alla sua razionalità intrinseca e agli strumenti normativi di attuazione. Il piano è cioè ideato come un processo lineare che, a partire dalla diagnosi di una serie di punti problematici, conduce ad un progetto concepito come linea guida generale.
La politica pianificatoria, a partire dagli anni ’70, comprende che il controllo generale delle variabili territoriali non solo non è possibile, ma non è oltremodo auspicabile, in quanto si correrebbe il rischio di imbrigliare lo sviluppo di un territorio in schemi troppo rigidi, impoverendo le capacità autorganizzative dei sistemi locali.
Il nuovo orientamento tiene conto cioè dei sistemi territoriali, dell'eterogeneità degli attori coinvolti, della capacità dei sistemi locali di organizzarsi e delle loro variegate dinamiche evolutive.
Il diversificarsi dei modelli territoriali pone al centro dell'intervento il nesso tra ambiente e società locale, la valutazione delle risorse che ogni contesto può mettere in gioco, cercando di modellare il programma sulle specificità del luogo e promuovendone la valorizzazione. Risorse ambientali e paesaggistiche, caratteri dell'ambiente fisico e di quello costruito, ma anche capitale umano (sapere diffuso), eredità della cultura materiale e immateriale che i processi storici hanno sedimentato in un luogo specifico, sistemi di relazione, capitale sociale. Il territorio è visto come una risorsa per individuare percorsi modellati sulle peculiarità spaziali, non più come contenitore e supporto di progetti.
La differenziazione spaziale rende sempre più rilevante da una parte una lettura interpretativa del territorio, con i suoi caratteri sociali ed economici, fisici ed ambientali, dall'altra una lettura dell'insieme delle relazioni che si sono stabilite storicamente tra elementi naturali, sociali e culturali costitutivi della località.
Cambiano obiettivi e contenuti della pianificazione, in quanto l'attività di piano interviene in processi di trasformazione sociale già in atto, per cui non è più calata dall'esterno, ma opera all'interno degli stessi processi, cercando di stimolarli e orientarli, raggiungendo quindi reali vantaggi per la collettività di quello specifico ambito territoriale.
Le metodologie per la progettazione si pongono come comprensione e chiarificazione dei sistemi di relazione, dei legami tra popolazione e luoghi, come processo evolutivo (Maciocco, 1991).
Questo processo fa emergere il concetto di integrazione, che sottolinea il fatto che il problema della pianificazione del territorio viene affrontato agendo contemporaneamente su più fronti e contenuti, cercando di puntare sulle sinergie: la riqualificazione dell'ambiente fisico si connette allo sviluppo di iniziative economiche, al diretto coinvolgimento (in fase di progettazione, esecuzione e di gestione) di quelle forze imprenditoriali già presenti nel territorio, dando vita a nuove iniziative locali, facendo leva sui giovani in cerca di occupazione, migliorandone le competenze tecniche ed organizzative.
Integrazione sottolinea anche il tentativo di dar vita a rapporti di complementarità nella gestione tra i decisori pubblici, gli operatori privati che agiscono con logiche di mercato, i vari soggetti che formano il cosiddetto «Terzo settore » (organizzazioni di volontariato, imprese sociali ecc.). Il ruolo di pilotaggio è affidato non ad organi di governo istituzionali, ma ad “agenzie” appositamente costituite, in cui sono presenti decisori di diversa natura, e che, comunque, agiscono con un forte grado di autonomia rispetto agli enti di finanziamento e di controllo.
La logica dell’intervento congiunto implica che lo stato faccia un passo indietro rispetto alla presunzione di poter elaborare e realizzare, con le sole proprie forze, progetti capaci di orientare la pianificazione territoriale verso obiettivi prestabiliti. Ora, piuttosto, il momento pubblico si propone come catalizzatore e coordinatore di energie che provengono da più parti: dallo stato stesso, nelle sue articolazioni centrali e locali, ma anche da diversi tipi di operatori individuali o associati.
Viene quindi abbandonata ogni ipotesi di rigenerazione del territorio attraverso politiche di pianificazione centralizzata o attraverso norme esogene, come nel caso dei parchi. In queste aree, negli anni sessanta e settanta, la filosofia dell'intervento pianificatorio era sostanzialmente fondata sull'idea di un'inconciliabilità, tra esigenze di tutela dell'habitat ed esigenze di sviluppo locale. Ciò produceva Piani essenzialmente orientati a separare aree tutelate (vincolistica piuttosto rigida) dalle aree esterne (vincoli ambientali laschi o nulli). Gli effetti sono stati dirompenti, facendo gravare sugli insiders (sovente soggetti già deboli, in quanto abitanti di aree rurali o montane in declino) gran parte dei costi: l'area a parco non è una risorsa per lo sviluppo economico locale; la quasi totalità dei benefici (simbolici, ricreativi, ma spesso anche economici) ha finito per interessare gli outsiders (in gran parte soggetti sociali forti, urbanizzati, istruiti ecc.)
Oggi i nuovi indirizzi di pianificazione delle aree naturali, ispirati allo sviluppo sostenibile, enfatizzano l'esigenza di conciliare attenzione per l'ambiente, con le dimensioni economica e socio-politica. Una politica di sviluppo sostenibile deve valorizzare risorse culture locali ed istituzioni locali per gestire le risorse ambientali. Sviluppo locale e tutela del patrimonio naturale debbono viaggiare congiuntamente.
La partecipazione delle popolazioni, delle comunità e degli organi di governo locali ai processi di pianificazione e di gestione delle risorse ambientali e dei cicli di sviluppo sono condizioni irrinunciabili per evitare forme di "colonialismo" ambientalista, ovvero una nuova forma di pianificazione calata dall'alto, destinata dunque ad un probabile insuccesso.
In questo modo si tende a mettere in risalto le norme endogene su cui si fonda la progettazione del territorio. Il progetto del luogo è immanente alle sue regole genetiche in quanto mette in relazione positiva l'ambiente fisico, antropico e costruito.
A partire da questi presupposti affronteremo due problemi: il primo è quello della necessità di una progettazione integrata e partecipata del paesaggio, il secondo, in riferimento alle norme endogene del territorio, è quello dell’analisi di una serie di fatti sociali che regolano la trasformazione del territorio. Detto in altri termini, le componenti socio-culturali dei paesaggi agropastorali tradizionali.
Download: Il paesaggio partecipato.pdf
Pagina aggiornata il 23/02/2024