Consistenza e articolazione del patrimonio edilizio storico


Tipo edilizio e tipo costruttivo. Case di terra, case di pietra: consistenza e articolazione del patrimonio edilizio storico

Le architetture regionali sono caratterizzate da una nettissima dicotomia: da un lato la straordinaria diffusione del mattone in terra cruda, che irradiandosi dai Campidani interessa con modalità, dimensioni, tessiture estremamente omogenee tutta l’area di pianura e collinare della Sardegna centro-meridionale; dall’altro la non meno straordinaria varietà delle murature in pietra, che prende corpo dalla grande complessità geolitologica dell’isola per assumere in pieno la ricchezza (ed in molti casi anche la precarietà) dei materiali e delle forme ambientali.

Le implicazioni della tecnologia del mattone di terra sono di grandissimo rilievo: al ladiri si associa un’impostazione “razionale” della casa del sud quale può derivare dall’uso del laterizio in quanto modulo-base (murature rettilinee, ambienti a pianta quadrangolare); inoltre, l’enorme sperimentazione della tecnica e degli impasti consente di ridurre gli spessori di muro a parità di carichi nel rapporto di 1 a 1,5 ed anche di 1 a 2 rispetto alle corrispondenti costruzioni in pietra.

Naturalmente il ladiri si diversifica in modo anche molto percepibile per granulometria, colore e caratteristiche meccaniche in relazione ai caratteri dei suoli; ciò è tanto più vero per l’edilizia minima e per i manufatti costruiti sino alla fine del secolo scorso. Con l’inizio del nostro secolo invece si afferma una vera e propria industria del mattone crudo: in tutto il Campidano, e specialmente in alcuni dei centri maggiori come Quartu, S. Gavino e Guspini si impiantano fabbriche artigianali che producono mattoni crudi più standardizzati e con argille cavate in terreni scelti e sperimentati. La pratica plurisecolare insegna quali sono i terreni più adatti all’uopo, tanto che alcuni muri in terra cruda, privi di intonaco almeno dal 1930, dimostrano che la faccia vista in crudo, con un’opportuna scelta delle terre, può essere altamente durevole. Le fabbriche di ladiri raggiungono paradossalmente il loro sviluppo a cavallo dell’ultima guerra mondiale, cosicché una quota rilevantissima dell’attuale patrimonio superstite di case in terra (valutabile in circa 30.000 unità) è stato prodotto o modificato in pieno ‘900.

Se la terra cruda investe come presenza diffusa i due quinti del patrimonio di architettura popolare e regionale, la pietra è a diffusione totale, nel senso che non c’è edificio i cui muri non siano interessati in tutto o in parte da materiali lapidei. Anche nei più esclusivi territori della terra cruda, almeno i basamenti non potevano essere che in pietra; allontanandosi dai Campidani, la pietra diventa il materiale esclusivo nella costruzione delle strutture portanti degli edifici. Per quanto è lecito confrontare le culture costruttive del granito e quelle delle arenarie, delle trachiti o dei calcari e dei basalti, a fattore comune sta il basso tasso di lavorazione del materiale-base e la grande sapienza della messa in opera, a secco o con malte di terra.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere, le murature in materiale lapideo presentano in genere spessori maggiori di quelle in mattoni crudi, anche a parità di numero di piani e quindi di carichi. L’aspetto sorprendente di questo dato dipende in primo luogo dalle modalità di reperimento, lavorazione e messa in opera della pietra, che sono diffusamente caratterizzate da una forte “naturalità”: si preferiva in sostanza un basso tasso di trasformazione del materiale, e di conseguenza si ricorreva al sovradimensionamento delle sezioni resistenti. Del resto è noto che i magisteri specializzati degli scalpellini (picapedres) erano piuttosto riservati ai dettagli costruttivi e decorativi delle aperture che non alla struttura muraria propriamente detta.

Se però nell’insieme delle aree collinari e montane dell’isola la pietra viene per lo più utilizzata nelle sue forme erratiche o cavata senza alcuna lavorazione, e quindi messa in opera di conseguenza, in corsi irregolari o con spianamenti suborizzontali, sostanzialmente come sovrapposizione e incastro di un doppio paramento di pietre (e solo la grande abilità nella scelta della pezzatura e nella posa in opera consentiva di legarli) alcune aree sono portatrici di tecniche stabilmente e diffusamente più avanzate. E’ il caso di molta parte della Gallura, dove il granito viene usato spesso in conci, o del Meilogu, dove il basalto sbozzato grossolanamente viene messo in opera da solo o con calcari e arenarie in lastre, e i varchi tra le bozze di dimensioni maggiori sono poi costipati con zeppe accuratamente disposte, in modo da minimizzare il compito assegnato alle poco attendibili malte disponibili. Allo stesso modo, e in genere con una cura ancora superiore, si realizza la muratura degli altipiani centro-occidentali, in basalto e trachite scura.

Per una ulteriore evoluzione tecnica bisogna attendere la metà del secolo scorso, quando la Sardegna interna comincia ad essere interessata dalla formazione di un ceto di operatori e di maestranze di formazione piemontese. Mentre ingegneri e funzionari dei corpi dello stato cominciano a rompere l’isolamento tecnologico di molte aree, portando i metodi ed i materiali delle opere pubbliche (come le strade o, più ancora, le carceri e le preture locali) in contesti di totale autarchia edilizia, le nuove borghesie agrarie locali si fanno interpreti di bisogni e gusti più innovativi. La straordinaria diffusione della dimora a “palazzo”, che abbiamo osservato nelle sue numerose varianti di zona, costituisce un potente fattore di unificazione dei magisteri costruttivi e di introduzione di consistenti novità a livello di pratiche correnti.

Pagina aggiornata il 22/02/2024

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